Ho sempre immaginato di buttarmi da un aereo. Sempre. Ho desiderato provare l’emozione di ejettarmi da un caccia tirando la leva del Martin Becker.
Oppure da un Cessna ala alta, o da un volo di linea in emergenza, o da uno Yak in volo rovescio con il cupolino del cockpit aperto.
Buttarmi giù, con la motivazione sostanziale di portarmi in salvo, per dare a me stessa una scusa per farlo. Per anni ho studiato e osservato nei minimi particolari le stragi aeree e ho ascoltato con interesse e paura le testimonianze dei sopravvissuti.
Nonappena il fato birichino mi ha proposto un lancio con il paracadute in tandem, ho accettato subito perché era passata troppa vita e non potevo aspettare ancora a lungo.
Nei miei sogni avevo immaginato troppe volte il momento in cui si apriva il portellone: l’aria gelida che ha il cielo man mano che si avvicina allo Spazio, le nuvole lì sotto, la luce del Sole così viva e la Terra, così lontana, che ti invita a tuffarti dentro sé.
Chissà come sarebbe stato il momento in cui avrei dovuto decidere di buttarmi, o di “lanciarmi” come si dice in gergo, perché solo la spazzatura si butta e un paracadutista invece è una splendida fucina di emozioni.
Poi quel momento è arrivato e, ancora una volta, la vita imprevedibile mi ha presa in contropiede: nessuna paura, nessuna emozione da crepacuore… solo tanta felicità per aver mandato a segno, ancora una volta, un sogno e per essermi resa conto che volare, anche precipitando nel vuoto, è per me qualcosa di assolutamente naturale.
Una sorta di conferma di ciò che ho sempre saputo ma che senza il coraggio di metterla in atto sarebbe rimasta rinchiusa lì, dentro al cassetto dei desideri, in compagnia degli altri sogni.
Stupendo.
Alice